“Quand’ero giovane comandavano i vecchi. Adesso che sono vecchio, comandano i giovani. Ma a me quando tocca?” Ho letto da qualche parte questa domanda paradossale, ma utile ad una riflessione.
Nella nostra civiltà aumenta la quantità della popolazione anziana e, costantemente, diminuisce il numero dei giovani. La ragione di ciò, oltre al progresso della medicina e all’innalzamento della qualità della vita, va cercata anche nella profonda crisi demografica. Figlioli se ne fanno pochi, soprattutto nel “primo mondo”, quello dove si mangia anche quello che non si mangia nel terzo e nel quarto.
Non ho ancora capito quale sia il secondo mondo. Ma, torniamo al nostro tema della dittatura della giovinezza. Nonostante il mondo contemporaneo si avvii a diventare una società di vecchi, la nostra civiltà si pensa, ed è pensata, come società dei giovani e per i giovani. La struttura della società, la sua consistenza culturale, la sua vita organizzata, i mass media, la logica dei processi produttivi ed informativi, lo sviluppo della tecnologia, ci dicono che il presente è completamente sottomesso alla «dittatura della giovinezza».
La cultura della vecchiaia che manca in Italia
È stato scritto che siamo una società di vecchi che esiste, crea, e vive, nel culto della giovinezza. La quale consuma. Lo stato della società deve contemplare una semplice constatazione. La società contemporanea, composta di vecchi in buona e larga parte, è condizionata da un paradosso: abbiamo tutti la fondata e serena speranza di invecchiare a lungo e di morire in età avanzata perché abbiamo avuto in sorte di vivere molti più anni rispetto alle generazioni che hanno abitato prima di noi questo pianeta che sembra vecchio e stanco pure lui.
Eppure, ci manca una cultura della vecchiaia. Anzi, la cultura dominante e la mentalità corrente, fondate sull’autosufficienza e sul benessere, si sentono disturbate dalla vecchiaia, perché racconta i segni della debolezza umana, e non è più percepita come vita, preziosa vita ricca di storie e storia: gli anziani, in fondo, sono percepiti come un peso sociale ed economico, una zavorra per la famiglia, un tormento per sé stessi.
E questa amara consapevolezza incupisce la vita quotidiana dei vecchi. La longevità è stata una conquista culturale e sociale, ma il messaggio che i vecchi ricevono, ancora di più se malati, soli, e poveri, è che è meglio farsi da parte. Il tempo della contemporaneità elargisce agli anziani tanti anni da vivere, ma loro non sanno cosa farsene, soprattutto se non invecchiano bene: con i sentimenti e il pensiero vividi, vitali, vittoriosi sul tempo. Loro voglio raccontarlo ai giovani che, così, vivranno meglio la loro lunghissima vita. Anche il pianeta, rassicurato, sarà meno scorbutico.